Fino a trent’anni fa in ogni famiglia si faceva il vino! Si pigiava l’uva, la si metteva nel tino, la si lasciava fermentare per qualche giorno e si filtrava il vino. Lo si metteva a riposare in botti e lo si beveva durante l’anno prendendolo direttamente dalla botte. Questa era la consuetudine! Nelle famiglie più abbienti, invece, alla fine del ’700, si cominciò a vinificare anche in modo diverso.
I grappoli più maturi e profumati venivano pigiati a parte shiacciandoli con delicatezza solo al 50%, si filtrava il tutto con appositi stracci ricoperti di iuta, i cosiddetti tambor, come già figurava nel vocabolario ottocentesco dialettale bussetano “Daràt Daràt Dasfàt”. Lo si metteva poi a fermentare senza le bucce fi no a primavera, per poi imbottigliarlo. Era l’unico vino che si imbottigliava, era il meglio della produzione, il vino delle grandi occasioni, leggero, spumeggiante e con un colore limpido e rosato. Un vino pieno di profumi. Era lo spumante delle nostre genti! Ma chi ci insegnò a vinificare in questo modo? Forse i francesi? Il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla era stato assegnato a Maria Luigia (lei degli Asburgo, ma moglie di Napoleone).
In Francia erano già padroni di queste tecniche per ottenere lo Champagne, ma questo anche in Trentino! C’è anche chi dice che fu un tamburino dell’esercito. Chi furono i primi? Bè, lasciamo agli storici la soluzione! Di certo il Tamburen era lo spumante del nostro contado… Questa è un’altra piccola opera d’arte di queste terre e così un altro prodotto è stato salvato. D’altronde si dice che l’identità di un popolo è legata alle sue tradizioni! E noi le tradizioni non vogliamo perderle, anzi!!! Di brillante colore rosa, con riflessi salmone. Al naso è fi ne ed esprime invitanti profumi fruttati di lampone e bonbon inglese, carezzevole il perlage che assicura freschezza ed equilibrio.